Uomo politico francese. Fu tra i
personaggi di maggior spicco della Rivoluzione francese. Ordinato sacerdote nel
1772, ottenne il vicariato generale di Chartres, benché la sua vasta
cultura gli proponesse come interessi prevalenti l'economia e la giurisprudenza.
Nel 1788 partecipò al Club de Valois, circolo che faceva capo al duca
d'Orléans, e ai lavori di preparazione per la convocazione degli Stati
Generali. La pubblicazione dei suoi opuscoli lo impose all'attenzione generale:
Saggio sui privilegi (1788) e, soprattutto,
Che cos'è il Terzo
Stato? (1789), un
pamphlet poi diffuso largamente tra i delegati
degli Stati Generali. Soprattutto in quest'ultimo,
S. stigmatizzava le
contraddizioni della società e della politica francese, dominate dagli
ordini privilegiati (nobiltà e clero), la cui produttività reale
era pressoché nulla se confrontata a quella del Terzo Stato, i cui membri
sostenevano la quasi totalità delle attività private e pubbliche,
ma si vedevano negata la rappresentanza politica. La necessità di
convocare un'assemblea (sul modello di quella americana) che emanasse una
Costituzione per riorganizzare su basi nuove la società, fu argomento
dell'ultima parte del libello. Nel 1789
S. redasse le istruzioni che il
duca d'Orléans affidò ai suoi delegati per la compilazione dei
cahiers de doléances: lui stesso fu eletto in rappresentanza non
del clero, ma del Terzo Stato all'Assemblea nazionale. Egli fu forse tra i
più attivi promotori della fase assembleare e costituente della
Rivoluzione: a lui si devono le iniziative che scardinarono il sistema di voto
per Stato e non per testa e la valenza nazionale che assunse l'Assemblea
costituente nata il 17 giugno.
S. inoltre elaborò il testo del
giuramento della Pallacorda e stabilì il principio della prevalenza della
sovranità nazionale su quella monarchica, nonché il piano per la
suddivisione del territorio francese in dipartimenti, secondo criteri
razionalistici. Come membro del Club dei giacobini, diede un contributo
fondamentale anche alla redazione della Dichiarazione dei diritti e promosse
l'abolizione del regime feudale. Al contrario
S. si oppose, senza
successo, all'abolizione delle decime e alla nazionalizzazione dei beni
ecclesiastici e, in generale, si dissociò dal progressivo radicalizzarsi
della Rivoluzione, aderendo alla Société di La Fayette e assumendo
talvolta un orientamento conservatore: in particolare inserì nella nuova
Costituzione la distinzione tra cittadini attivi e passivi, un regime elettorale
di tipo censitario (1791). Membro anche della Convenzione (1792), votò a
favore della morte del re e si avvicinò alle posizioni della Gironda.
Riuscì a sfuggire le liste di proscrizione del Terrore, per riapparire
sulla scena politica dopo il colpo di Stato di Termidoro. Nel 1795 propose e
fece approvare una legge di polizia contro le sommosse popolari e sostenne in
politica estera un orientamento favorevole alle annessioni (come nel caso
dell'Olanda cui impose il protettorato francese). Fu nominato membro del
Consiglio dei Cinquecento e nel 1799 del Direttorio. Intimamente avverso al
regime direttoriale, mirando invece alla costituzione di un Governo forte che
ponesse fine al disordine rivoluzionario e ristabilisse le libertà
individuali e il diritto di proprietà,
S. fu il principale
artefice del colpo di Stato bonapartista del 18 Brumaio (9 novembre) 1799 e fu
designato console provvisorio accanto a Napoleone e a R. Ducos. Egli si assunse
l'incarico di preparare una nuova Costituzione, basata sul principio
“fiducia dal basso, potere dall'alto”: si trattava di una struttura
complessa, in cui il potere esecutivo era affidato a tre consoli in carica per
dieci anni; un Consiglio di Stato di nomina elettiva era incaricato della
stesura delle leggi, coadiuvato da un Senato di 60 membri nominati dagli stessi
consoli. Ai cittadini spettava la designazione per suffragio universale dei
notabili che avrebbero costituito questi organi. Bonaparte, tuttavia,
mutò in senso autocratico questo progetto originariamente oligarchico,
che delle antiche istanze rivoluzionarie conservava solo la rivendicazione del
merito personale e dei diritti dell'individuo a prescindere dall'appartenenza di
ceto.
S. si trovò dunque a essere strumento di Napoleone, quello
stesso generale che egli aveva voluto piegare ai propri scopi politici di tipo
conservatore. Da lui
S. ottenne solo cariche onorifiche: senatore e
presidente del Senato, nonché conte dell'Impero (1808). All'avvento della
Restaurazione nel 1815, fu condannato all'esilio per regicidio, e poté
rientrare in Francia solo dopo la Rivoluzione del Luglio 1830 (Fréjus
1748 - Parigi 1836).